Il rumore della pioggia. Riesco ad associare tutto al rumore della pioggia. Penso di averlo sempre saputo, ma c’è un momento preciso in cui realizzi ciò che non sei, e forse dopo, come taglio di vetro, ciò che sei. E allora impari a volere piano, perché il singolo respiro può apparire sfida.
E le voci, le voci… Quelle che ti seguono quando sei solo, quelle che ti amputano e ti spogliano e ti marchiano mentre tu ti fai silenzio.
Il rumore del vento. Riesco ancora a pregare col rumore del vento. Pregare per un’identità, per il riconoscimento di uno specchio, pregare di non essere croce.
E mio padre, sconfitti i suoi mostri, mi guarda con amore anche se piange guardando le stelle.
Il rumore del mare. Riesco a trovarlo dentro di me il rumore del mare, ed è tempesta a volte che mi aggancia lo stomaco, e mi guardo e non mi trovo, mi guardo e non mi vedo. È l’indignazione della meraviglia… e sarei pronto a stupirmi ogni giorno se solo non fosse lama.
Il rumore del cielo. Riesco a sentirlo dentro di me il rumore del cielo e allora so da dove arrivano le onde, ascolto lo sguardo del gatto e conto i versi finiti in cui si scioglie la poesia. La tua poesia.
E quando odori di abbraccio e nella larghezza delle tue labbra trovo me stessa, i tuoi occhi diventano quasi cielo.
Il mio Quasicielo.